Lo scorso 30 maggio si è tenuto “Welfare Revolution”, evento promosso da Edenred Italia allo scopo di premiare le imprese che negli ultimi anni si sono contraddistinte nel campo del welfare aziendale. Tra le realtà che si sono aggiudicate uno dei premi in palio c’è anche Bofrost, nota realtà che si occupa della vendita diretta di prodotti alimentari surgelati. La società che in Italia conta 50 filiali e 10 call center, per un totale di 2.136 dipendenti, è stata insignita del premio “Welfare Explorer” proprio grazie alla sua lunga esperienza nel campo del welfare e degli interventi rivolti al benessere organizzativo.
Perpetual Guardian si occupa di estate planning da più di 135 anni e oggi ha uffici ai quattro angoli della Nuova Zelanda con più di 140.000 clienti. Ma in America e in Europa (Uk in prima fila) se ne parla per un motivo che con trust & company ha ben poco a che fare. Di cosa si tratta è presto detto: i suoi dipendenti da qualche tempo possono scegliere di lavorare solo quattro giorni alla settimana, senza alcuna decurtazione alla busta paga. La decisione è stata presa definitivamente dopo otto settimane di sperimentazione e risultati positivi, non “solo” per il work-life balance, ma da tutti i punti di vista, compreso il profitto: ha segnato addirittura un +20%.
Lo scorso 30 maggio si è tenuto “Welfare Revolution”, evento promosso da Edenred Italia allo scopo di premiare le imprese che negli ultimi anni si sono contraddistinte nel campo del welfare aziendale. Tra le realtà che si sono aggiudicate uno dei premi in palio c’è anche Bofrost, nota realtà che si occupa della vendita diretta di prodotti alimentari surgelati. La società che in Italia conta 50 filiali e 10 call center, per un totale di 2.136 dipendenti, è stata insignita del premio “Welfare Explorer” proprio grazie alla sua lunga esperienza nel campo del welfare e degli interventi rivolti al benessere organizzativo.
Se non esiste una ricetta infallibile per il successo di un’azienda, ci sono però ingredienti che si rivelano indispensabili per migliorarne le performance. Uno di questi è il welfare aziendale: universo di servizi e benefit che il datore di lavoro offre per incrementare il benessere del dipendente e della sua famiglia attraverso una diversa ripartizione della retribuzione. La soddisfazione delle persone interne a un’organizzazione è un fattore determinante per un business sano e in crescita perché va ad agire sulla motivazione e sul senso di appartenenza. Oggi il welfare in azienda rappresenta uno dei principali strumenti a disposizione del mondo HR per promuovere il work life balance del capitale umano e per aumentarne il potere d’acquisto.
Più asili nido e più posti nelle scuole materne favoriscono l’occupazione femminile. Il rapporto, per certi versi scontato, è stato recentemente evidenziato da un’indagine effettuata dalla Fondazione Openpolis, che mostra come nelle regioni in cui la presenza di asili nido e servizi integrativi per la prima infanzia copre almeno il 30% dei bambini della fascia 0-3 anni – come ad esempio Valle d’Aosta, Umbria, Emilia Romagna e Toscana – il tasso di occupazione femminile supera il 60%. Ancora lontano dai livelli europei (66,5%), ma comunque più alto della media italiana (52,5%).
“‘Il welfare aziendale è una iattura’, mi ha detto un candidato durante un colloquio, riportando la frase di un amico impiegato presso una grande azienda. Ma come? Durante la selezione per una società che offre servizi e consulenza in ambito welfare aziendale e mentre in giro non si parla d’altro, un lavoratore dice che si tratta di “una iattura”? In realtà, l’affermazione non mi ha sorpreso: da mesi rifletto sul boom del fenomeno welfare aziendale. Con i miei 16 anni di esperienza nel settore ho sentito la necessità di una riflessione seria sull’argomento. E mi piace pensare che questa riflessione possa essere utile ad altri.”
rn
Con i salari bloccati e la “fame” di reddito, operai e lavoratori manuali preferiscono qualche soldo in più in busta paga rispetto ai servizi integrativi. Così il welfare aziendale rischia però di aumentare e non ridurre le disuguaglianze tra lavoratori. Tra i servizi preferiti, quelli sanitari. Con i salari bloccati e la “fame” di reddito, operai e lavoratori manuali preferiscono qualche soldo in più in busta paga rispetto ai servizi integrativi. Così il welfare aziendale rischia però di aumentare e non ridurre le disuguaglianze tra lavoratori. Tra i servizi preferiti, quelli sanitari. Solo nel settore privato potrebbe valere 21 miliardi di euro, quasi uno stipendio in più all’anno. Dopo anni di sperimentazione, il primo rapporto Censis-Eudaimon sullo stato del welfare aziendale in Italia fa il tagliando a uno strumento che ritroviamo ormai nel 40% dei contratti attivi (anche se le aziende che hanno sottoscritto contratti che prevedono una misura di welfare sono in realtà molte di meno).
Osservatorio Welfare: i dipendenti italiani preferiscono i premi di produttività in denaro ed esercitano poco l’opzione di conversione in servizi di welfare aziendale.
I dipendenti italiani preferiscono non trasformare i premi di risultato (salario di produttività) in prestazioni di welfare aziendale: l’opzione prevista in Legge di Bilancio incentiva la conversione in benefit dei premi in denaro, ma solo il 19% dei lavoratori ha finora deciso di rinunciare ad una busta paga più pesante. C’è giusto un 10% che chiede la liquidazione della somma in busta paga. Tutti gli altri (il 71%) non fanno nulla, che in pratica significa rinunciare ai flexible benefit. I dati sono forniti dall’Osservatorio di Easy Welfare, in base alle scelte effettuate dai dipendenti delle aziende che utilizzano la sua piattaforma online.
Alcuni lettori segnalano pressioni dalle loro aziende perché rinuncino al premio di produttività in busta paga e lo destinino al cosiddetto welfare aziendale. Si chiama così un coacervo di beni e servizi (buoni pasto, sanità integrativa, trasporti casa-lavoro ecc.) che dovrebbero appunto accrescere il benessere del lavoratore. In realtà esso degenera nel caso migliore in una forma di elusione fiscale, affogata in rapporti concertativi fra sindacati e aziende, e comunque non è affatto conveniente come raccontano.
“Le diversità sul posto di lavoro fanno riferimento alla varietà di differenze tra le persone all’interno di un’organizzazione, tra le quali genere, età, etnia, disabilità, orientamento sessuale, caratteristiche di personalità, stili cognitivi, istruzione, background ecc. In questo quadro, il diversity management si delinea come un’insieme di pratiche aziendali, finalizzate alla valorizzazione e al rispetto di tutte le diversità presenti nel contesto organizzativo, in grado di creare un clima aperto e inclusivo, nonché e una cultura in cui i lavoratori sono promossi per i loro meriti e le opportunità di crescita e di successo sono a disposizione di tutti.”